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Prossemica: fatti più in là!

La distanza sociale: una questione di prossemica

“Fatti più in là, così vicino mi fai turbar” cantavano le Sorelle Bandiera nel tentativo di “proteggere” il proprio spazio vitale. Non è che poi lo volessero veramente, loro.

Ci sono però situazioni nel quotidiano dove l’altro, con la vicinanza fisica (e non solo), ci leva il respiro. Ci sentiamo invasi e abbiamo bisogno di riacquistare terreno, ristabilendo i confini della nostra intimità. Perché l’uomo è un animale territoriale. Ha bisogno del suo spazio che non deve essere invaso.

Quella distanza fra noi e l’altro è pregna di significato. Esprime il tipo di relazione e comunicazione che vogliamo intraprendere, è influenzata (ma a sua volta ne è condizionata) dal contesto, è indicatore di potenziale disagio ed esprime alcune nostre peculiarità caratteriali.

La prossemica (Hall, 1963) è “lo studio di come l’uomo struttura inconsciamente i microspazi – le distanze tra gli uomini mentre conducono le transazioni quotidiane, l’organizzazione dello spazio nella propria casa e negli altri edifici e infine la struttura delle sue città. “

Le zone prossimiche indicano il significato che le distanze assumono e si dividono in:

Distanza intima, da 0 a 45 cm: la zona che ammette  anche il contatto fisico che non crea né soggezione, né fastidio.

Distanza personale, dai 45 ai 120 cm: è solitamente una vicinanza concessa ad amici o a persone per le quali proviamo “attrazione”. Potrebbe anche essere quella del primo appuntamento, quando c’è la magia e la voglia di stare insieme il prima possibile.

Distanza sociale, dai 120 ai 360 cm: tipica dei rapporti formali. A lavoro, a scuola, al parco. Né troppo vicini, né troppo lontani.

Distanza pubblica, oltre i 3,5 m: a queste distanze ci si percepisce reciprocamente come elementi facenti parte dell’ambiente.

Ma l’uso dello spazio è fortemente influenzato dal contesto culturale.

Gli americani, per esempio, quando entrano in ascensore si mettono in fila con lo sguardo verso la porta. Gli europei, invece, cercano uno spazio dove potersi appoggiare con le spalle “protette”.

Le persone che vivono in campagna, e quindi abituati ad ambienti aperti, son solite mantenere le distanze al contrario di chi vive in città grandi e affollate.

Il rispetto degli spazi altrui è fondamentale al fine di un buon rapporto e comunicazione. Osservando l’altro noteremo degli indicatori che segnaleranno apertura o chiusura, e quindi difesa, nei nostri confronti. Questi principi sono da applicare anche all’interno della propria famiglia. Spesso diamo per scontato che il legame affettivo ci dia incondizionata autorizzazione nell’invadere le distanze altrui perché siamo abituati a pensare questi spazi come fissi e immutabili. Invece non è così.

Pensiamo al bambino che diventa adolescente.

All’inizio dell’estate era lì in giardino a giocare con voi, a cercare un abbraccio, a voler una carezza prima di salutarsi. Con l’inizio della scuola ha smesso quasi di parlarvi, si chiude in camera e anche se siete nella stessa stanza, a volte, sembra che non ci sia.

Non tutti gli adolescenti sono così, ma questo in particolare vi sta comunicando che per gestire il cambiamento ha bisogno di stare solo. Di allontanarsi e di allontanarvi.

Moglie e marito si tengono per mano passeggiando. In un attimo lo scenario cambia. Qualcosa li ha fatti litigare e per mano non si tengono più. Hanno bisogno di aumentare la distanza fisica, di ritirarsi nella propria bolla vitale ma verso sera torneranno a parlarsi, a volersi bene e vivere insieme nella distanza intima.

I confini non dono barriere invalicabili. Sono limiti che possono essere superati, a volte mediati, a volte ridefiniti. L’importante è saper osservare, saper rispettare l’altro.

Non occorre avere un metro sempre a disposizione!